giovedì 28 aprile 2011

Iruya, un viaggio nel tempo


Il viaggio fino ad Iruya è un viaggio attraverso un lungo sterrato, 50 Km di strada in 3 ore, il che fa 15 all'ora di velocità media, con un vecchio autobus che di buche ne deve aver patite tante.


Prima un panorama messicano con tantissimi grappoli di enormi cactus


poi mano a mano si salirà per le montagne e la vegetazione si farà più bassa e rada


Un viaggio indietro nel tempo attraverso le Ande, che sempre di più mi lasciano un sapore di grandezza e di spazio, ma anche di fatica e di situazioni estreme. Qui le distanze sono enormi e i sentieri che portano alle case lunghi e faticosi, per km non si vede traccia di vita umana.


L'autobus fa fermata, scende un vecchio, lo osservo mentre si allontana verso il nulla


Un viaggio che ci porta a superare il passo che segna il confine tra le province di Salta e Jujuy a 4000 metri di altezza, tra immense distanze e tortuosissimi tornanti


Ogni volta che l'autobus ne affronta uno e sfiora il ciglio della strada mi sudano un pochino le mani....


Scendiamo, scendiamo per 1500 metri, laggiù i disegni tracciati dalla via sembrano messaggi Nazca, oltre vi sono profonde gole che si gettano a capofitto nel fiume. L'erosione del terreno è talmente marcata da lasciare profondissimi canyon che cambiano di anno in anno, ci fosse sempre l'acqua (e non si sfasciasse sempre tutto) sarebbe un paradiso per torrentisti.


L'acqua si porta tanti di quei detriti da riempire ogni volta valli, campi e paesi


Ogni tanto un pezzo di paese se ne va


Arriviamo che sono le 6, il sole è appena tramontato e l'aria si fa fredda. È un paesino bellissimo, incastonato tra altissime montagne, dove sembra davvero di essere tornati indietro nel tempo. 

 
Tanta gente, tanto movimento, tantissimi bambini.


Troviamo una casa famiglia, la donna che lo gestisce avrà 20 tra figli e figli dei figli che girano per casa. In tutto il paese ci sono 1000 abitanti e, siamo sicuri, più della metà hanno meno di 13 anni.


Sembra che l'età media per diventare madre sia ancora più bassa della già bassissima età media del resto dell'Argentina, un paese dove è ancora vietato l'aborto e dove quindi le coppie di genitori quindicenni sono la normalità.


Nei giorni che passiamo qui il ritmo scorre lento, il sole è rovente e non ti permette manco di respirare, fatichiamo non poco, siamo pure a 2500 metri qui, noi europei, abituati alle comodità della nostra opulenta società, scopriamo che Iruya è alla fin fine una metropoli confrontata ad esempio con San Isidro, il pueblo più vicino, che dista 3 ore di cammino da qui, vecchi e bambini se la fanno tutti i giorni per venire in paese.


Siamo silenziosi osservatori di un mondo incantato...


La mattina partiamo con il buio. Fa freddo. Ho la testa pesante per colpa della bisboccia passata la sera prima, tra filetti di carnazza, vino cancarrone (eh, il malbec quassù al kiosco non si trovava...) e canti argentini suonati con la chitarra dal nostro simpatico amico americano (nel senso che viene da un paese nella pampa che si chiama America...) che domani parte con attrezzatura e muli per farsi un giro di 5 giorni per i puebli delle Ande.

E' ancora buio quando siamo in prossimità del passo. 
L'autobus si ferma, fuori vedo alcune giovani donne con i loro piccoli e profondissimi occhi neri e con le gote bruciate dal potente sole e dal feroce freddo andini. Si affannano a caricare sacchi di patate accompagnate dai loro piccoli figli e dalla loro pila a led di fabbricazione cinese. 
Chissà quanto hanno già camminato nella notte per arrivare fino a qua.
Provo un immensa tenerezza...

Quebrada di Humauaca


La Quebrada di Humauaca, a bocca aperta tutto il tempo...


Siamo in posto dove piove 2 o 3 mesi all'anno, e di brutto.


L'acqua scava il terreno impermeabile e friabile trasformando completamente il panorama.
Ma il bello è che qui è pieno di stratificazioni di diversi minerali, così che, oltre a meravigliarci di fronte a questi straordinari disegni, rimaniamo stupefatti degli incredibili colori delle montagne


Non sembra di stare in un posto reale, ma nel sogno malato di un pittore informale ubriaco, che ne so, tipo Vedova.


Ormai siamo nel profondo nord andino, ci fermiamo a Purmamarca, un paesino incantevole a 2200 metri, il sole è molto caldo, ma l'aria freddissima, la sera tocca ritirare fuori i giacconi. Dormiamo al campeggino sul fiume, lo gestisce un tipo tutto particolare, se ne sta li a cucinare e ascoltare musica nella sua baracchetta, mentre mastica silenzioso la sua coca. Mano a mano che saliamo le persone diventano sempre più silenziose e schive.


La sera la passiamo in un bel locale in paese, suonano musica andina e ci lasciamo rapire dall'atmosfera.


La Gaucheria


È domenica pomeriggio e siamo li che ciondoliamo per la strada quando una coppia di Gauchos cattura la mia attenzione e faccio 2 foto. Loro se ne accorgono e ci invitano ad una Fiesta Gaucha, che si tiene in campagna. Avevamo intenzione di andare alle terme di Reyes e il caso vuole che la festa sia proprio di strada. Prendiamo l'autobus, che bello che qui tutti gli autisti abbiano il loro impianto stereo personale e si senta sempre della musica, mi immagino a Genova sul 14, la rivolta degli anziani di Marassi se succedesse...


Inizia a diluviare, sfiga, e dopo un bel po' di km arriviamo sul posto. Entriamo, si tratta di un grande capannone, forse una ex stalla, con dentro un casino di gente che mangia e che balla.


Ordiniamo la nostra carnazza, ci fanno un prezzo. Dopo una consultazione ce ne fanno un altro, meno della metà. E raddoppiano la portata. Magnamo. Ascoltiamo il presentatore che orgogliosissimo decanta le lodi della gaucheria, della tradizione e della Famiglia.
 

Si tratta di festeggiare un anno di vita di un gruppo musicale gaucho del posto.


Ci buttiamo nei balli anche noi. Iniziano a sentirsi citazioni e ringraziamenti per los italianos, venuti da Genova apposta per la grande festa della gaucheria. Si è sparsa la notizia della nostra presenza, e come si fa? Impossibile non notarci in mezzo a questi cowboys (attenzione a non dirglielo mai che si incazzano se si sentono chiamati come i gringos).


Veramente sono orgogliosi della inusualissima presenza di 2 visitatori venuti da tanto lontano e a un certo momento il gran capo, abuelo gaucho, ci fa chiamare sul palco per i ringraziamenti “ufficiali” e mi stringe la mano (a Paola profusione di baci, nella migliore tradizione), e si vede dalla sua espressione che è tutto esaltato. Viene un cameraman della TV locale che sta facendo un servizio sulla festa e ci intervistano!
Siamo delle star ormai, e infine ci regalano pure una maglietta del gruppo ufficiale. 


Viva la Gaucheria!

San Salvador de Jujuy


Dopo la anticipazione di Valle Fertil, con le sue case bianche, i suoi negozi con le insegne dipinte a mano, la lunga siesta, le etnie che finalmente iniziano a mescolarsi, ecco che arriviamo nel vero sudamerica.


A Jujuy si respira l'odore acre che mescola le spezie dei besagnini con il pollo fritto dei venditori ambulanti, la puzza di fogna con quella degli scarichi degli autobus, l'odore dei tropici con il sudore della gente.

 
E si sentono gli altoparlanti dei venditori di musica e di film che si fondono con il cianciare ad alta voce delle persone, lo strombazzare delle auto che si mescolano con le televisioni a tutto volume, e ovviamente, i vicini di stanza del nostro residenciales dai muri troppo sottili, tutti impegnati nelle loro notti di sesso trasgressivo lontano dagli ignari consorti. E la gente per le strade, in tutta la sua umanità.


Questo è il mercato che anima tutto il quartiere intorno al terminal degli omnibus, e qui decidiamo infatti di fermarci un paio di giorni. Solo indigeni per la strada, e noi.


Gli altri pochi turisti bianchi che incrociamo si muovono con passo frettoloso verso il più lindo e sicuro centro della città. Lo visiteremo anche noi il centro, molto carino, ma anche molto standardizzato e a misura di benestante, molto americanizzato, ma soprattutto bianco. Sì, qui si vede chiaramente la divisione in classi sociali – e in razze – di questo paese. Gli uni da una parte, gli altri dall'altra.
Noi preferiamo la più esotica e “pericolosa” parte indigena. Ma veramente c'è da aver più paura a Brignole quando sull'autobus salgono le vecchiette di Nervi e te hai avuto la sfortuna di aver trovato un posto a sedere. Tanto casino e tanta gente, e tanti colori, e questo volevamo.


Volevamo un po' di cultura, arte e monumenti sì, ma soprattutto la sub-cultura, quella della strada, del tessuto urbano, dei negozi, della gente, dei colori, dei fruttivendoli e dei tapullanti, della vita nelle strade e del gran casino, dei chioschi, dei bar, della gente che si incontra, soprattutto di quello che si mangia: quello che le tradizioni sono riuscite a trasmettere alla quotidianità.
E al sud nei posti che abbiamo visitato non ne abbiamo vista molta.
Al sud le città sono costruite in modo quasi totalmente artificiale a uso e consumo di un turismo massificato, a soddisfare i bisogni di coloro che vengono ad ammirarne i parchi e le montagne. Forse l'unica che un pochino si salva è Puerto Natales, con le sue facciate colorate e la sua gente schiva, ma cordiale, un po' come su nel Norrland scandinavo. Ma questa è una città con una tradizione portuale, mentre altri posti come El Chalten, El Calafate, San Martin de Los Andes, Pucon, Bariloche (ma anche El Bolson che se la tira tanto da posto di frichettoni e alternativi) sono asettiche e tutte uguali. Forse hanno bisogno di tempo per crescere, non so.
Ovviamente si parla di posti che abbiamo visto, non sappiamo se Ushuaia o Rio Gallegos siano diverse. Però anche città non turistiche come Rawson sono abbastanza sterili.


L'unica cultura che esiste al sud è quella dei nativi, che se ne stanno giustamente ben nascosti a cazzi loro nelle riserve, e a noi non passa minimamente per la testa di andar lì a compiere safari antropologici.
Man mano che ti sposti al nord gli indigeni iniziano a incrociarsi con quello che è rimasto della colonizzazione spagnola. Nella zona di San Juan e La Rioja, a nord di Mendoza, i Diaguita sono stati evangelizzati pacificamente, così che le tradizioni si sono mescolate e sono in parte rimaste radicate nella gente. E mano a mano che sali sarà sempre più così.

 
E allora viva Jujuy!

domenica 10 aprile 2011

Ischigualasto, l'opera di un folle surrealista

E l'ultimo giorno ce lo teniamo per la gita al famoso parco di Ischigualasto,


famoso perchè è uno dei molti siti paleontologici argentini che periodicamente sputa fuori un po' di ossa e fossili del triassico. 


A proposito di dinosauri, a Trelew avevamo visitato il museo paleontologico in cui sono conservati i 2 femori del più grande dinosauro mai trovato al mondo, l'Argentinosaurus che ha quindi superato colui che si credeva fino ad allora possedere il primato, l'Ultrasaurus, trovato e battezzato negli Stati Uniti. Mi son messo a ridere un quarto d'ora, chi poteva mai chiamare ultrasauro il proprio superdinosauro se non gli americani? E chi poteva gonfiarsi il superego già super gonfio scoprendone uno più grande ancora chiamandolo addirittura Argentinosauro?


Ma il bello di Ischigualasto è quando te ne vai in giro per questa gigantesca depressione tettonica, una placca di terra talmente dura da resistere alla pressione della zolla pacifica e assumere la curiosa forma che ha oggi. Un posto dove piovono 100 mm all'anno e qualcuno lo beccheremo anche noi quando saremo lì, quest'anno sono già 280 i mm caduti, eh, i cambi climatici si sentono anche qui.
La zona è totalmente argillosa ed impermeabile (e infatti il fiume del campeggio dopo 10 minuti di pioggia è già marrone), dove soffiano venti fortissimi che lavorano finemente la roccia


Un altro di quei posti magici in cui hai le prove tangibili che Dio, ogni tanto, quando era li che creava il mondo, lo faceva in preda a sostanze allucinogene....


E certi disegni gli riuscivano davvero bene e mescolava ad arte il bianco dei depositi salini, il verde delle ceneri vulcaniche, il rosso delle stratificazioni di ossido di ferro, il tutto utilizzando linee e forme surrealiste