sabato 7 maggio 2011

Perri d'Argentina

Un omaggio ai nostri amici perri che ci hanno fatto compagnia durante tutto il nostro lunghissimo viaggio

Il Sòtano, novello girone dantesco all'ESMA


Mi chiamo Karlos Munoz. Il 21 Novembre 1978 una patota mi è venuta a prendere su all'undicesimo piano del palazzo dove abitavo con mia moglie e mia figlia piccola. Avevo 20 anni e lavoravo nella segreteria del Movimento Montonero. Tenevo nascoste in camera 2 pistole, perchè sapevo che prima o poi i militari sarebbero venuti a prendermi e sapevo che non esistevano vie di fuga dal luogo in cui abitavo. Ma non feci in tempo, mi sorpresero durante la notte. Avevano rapito un ragazzino di 15 anni che mi tradì. Ci portarono via tutti e tre, ci portarono qui all'ESMA, nell'ultimo edificio del complesso, il Casino. Qui, come di consueto, arrivai di notte da un ingresso posteriore, assolutamente invisibile dall'esterno.


L'auto parcheggiò sul retro dove si trova l'entrata al sòtano, il sotterraneo. Una scalinata conduce direttamente in questo angusto stanzone, illuminato da lampadine a incandescenza. Qui si eseguivano gli interrogatori, o meglio si torturava la gente sequestrata con la Picada, uno strumento elettrico molto semplice, ma molto potente e doloroso, usato dai Gauchos argentini per il controllo del bestiame. La Picada ha portato molta gente a confessare, molta altra alla follia, e altra ancora alla morte. Subito dopo ti veniva levata l'identità. Ricevevi un numero e da quel momento tu non eri più una persona, ma un numero, per cui non avevi più una dignità di essere umano, ma eri solo una cifra. Non ero più Karlos, ma ero diventato il 261.


Sono rimasto 12 ore giù nel sòtano, ma non parlai. Non potevo. Avevano già preso tutti i miei compagni. Dopo di che mi hanno trasferito su all'ultimo piano della palazzina, la Capucha. Si chiamava così perchè lassù le persone stavano costantemente incapucciate. Era una mansarda divisa in scomparti da sottili compensati, in cui stavano stipate decine di persone. Ogni scomparto misurava circa 6/8 metri quadrati e li dormivamo in 3 o 4. 


Mangiavamo una volta al giorno, andavamo al bagno 2 volte al giorno e ci era concessa una doccia ogni 15 o 20 giorni. A volte un mese. Ognuno aveva i piedi legati da una grilletes, catena a cui a sua volta era legata una palla da 20 Kg. Le uniche cose che dovevi ricordare qui erano 2 numeri, quello della tua identità e quello delle chiavi per aprire i tuoi grilletes. Ho imparato a memoria gli scalini che compongono ogni rampa di scale. Sono 9, ogni volta dovevo contarli per non inciampare. 


Sopra la mansarda stava il sottotetto, dove c'erano le vasche di raccolta dell'acqua. Il rumore dell'acqua che scorre ti accompagnava sempre. Questo luogo si chiamava la Capuchita, perchè era più piccolo della mansarda. Piccole finestre ti permettevano di vedere i colori di fuori.


Sono rimasto nella Capucha 4 mesi, fino al febbraio del 79. Poi mi hanno chiesto se ero in grado di falsificare documenti e mi hanno chiesto di creare un passaporto uruguaiano. È stata la mia salvezza. Ho iniziato a falsificare passaporti per il gruppo Tarea, che erano coloro che pianificavano i sequestri delle persone. Nel momento in cui ho accettato l'incarico mia moglie è stata immediatamente liberata. Aveva perso 18 Kg. Potevo anche comunicare con la mia famiglia. Lavoravo dalle 8 alle 21 giù nel sotàno e tutto il tempo dovevo ascoltare le urla delle persone che venivano torturate. 
Dalle 8 alle 21. 
Tutti i giorni.


I prigionieri sulla propria scheda di identificazione ricevevano una lettera. Se era una L eri rimesso in libertà. Circa 200 persone sono sopravvissute qui di 5000 che sono transitate. I pochi che erano rimessi in libertà lo erano o perchè erano diventati attivi collaborazionisti o perchè dovevano diffondere il terrore raccontando quello che avevano passato dentro le carceri. Terrorismo di stato. Lo stato aveva messo in piedi una società del terrore. Far sparire le persone senza far più sapere nulla di loro era un ottimo modo di seminare il panico tra la popolazione. Uno spariva. Nel nulla. E nulla si sapeva della sua sorte. La gente impazziva per questo. L'intenzione di Masera era di diventare un nuovo Peron. E per fare questo aveva bisogno di rieducare il popolo.
Processo di riorganizzazione nazionale si chiamava.


Se invece, come la maggior parte, ricevevi una T allora per te era la fine. Traslado. Ufficialmente verso un carcere comune. In realtà ti iniettavano una dose di Pentothal e ti caricavano su un aereo. Da cui poi venivi gettato in mare. Vivo. I vuelos de la muerte. La permanenza in carcere durava mediamente un anno, un anno e mezzo. Dopo di che eri condannato. A volte morivi prima, per le torture. Allora ti cremavano e spargevano le ceneri nei campi dietro la scuola.


Al piano terra viveva il direttore dell'Esma. Pochi metri di fianco alla sala delle torture. Viveva lì, e sentiva tutto quello che succedeva. Insieme alla sua famiglia. Conduceva una vita normale. Aveva ospiti a cena anche. Una volta le amichette di sua figlia videro prigionieri incapucciati che venivano portati di sotto. Dissero loro che erano terroristi montoneros. Al primo e al secondo piano viveno tutti gli ufficiali. Al terzo piano c'era uno stanzone in cui i militari accumulavano tutto il materiale portato via dalle case dei sequestrati. Una volta che ti rapivano anche tutta la tua roba veniva rubata e portata qui. Più in là c'era una stanza riservata alle donne incinte. Molte donne arrivavano qui incinte. Venivano fatte partorire e i figli dati in adozione a militari. 


Su nella Capucha passò anche Norma Esther Arrostito, una delle fondatrici del movimento Montonero. Quando la presero aveva ingerito del cianuro, ma riuscirono a salvarla. Passò anche lei un anno qui all'Esma. Fu un inferno per lei. Non parlò. Mai. Un anno consecutivo di torture prima che la uccisero. Quando dormiva quassù nella Capucha, poco lontano da dove dormivo io, interi plotoni di celebrità militari, generali, colonnelli e capitani, anche stranieri, venivano qui a guardarla, a vedere questo trofeo.
A volte, dopo che ti avevano lasciato stare per un po', ti riportavano nel sòtano a torturarti. Facendoti domande vaghe e inutili. Era per terrorizzarti. Per uno che è da poco guarito dalle ferite è terribile dover tornare laggiù. Ma per me la cosa più terribile era guardare fuori dalle piccole finestre della Capucha e vedere il mondo che andava avanti indifferente alla nostra situazione. Poco lontano c'è uno stadio e sentire le urla della gente che andava a vedere la partita era orribile.


Non odio i militari per tutto questo. Non provo rancore. Non desidero vendetta. Mi basta sapere che i militari sono folli di rabbia per quello che succede. Per i processi. Per i degradi. Per la condanna della società. Per l'umiliazione di dover stare in un carcere comune. 


Noi qui amiamo follemente la democrazia. Non vale la pena odiare. L'Esma è adesso il miglio posto per conservare la memoria. Vengo qui a lavorare perchè serve come Espacio para la memoria. È un luogo diverso ora. Mi guardo da qui quando ero giovane....


Durante gli anni 60 il concilio vaticano secondo aveva causato uno scisma dentro alla chiesa, e molti preti avevano scelto la via “povera” per attuare la dottrina cristiana. Dentro all'Esma si provò chiaramente cosa questo volesse dire. Al piano di sopra i vescovi benedicevano i prigionieri diretti verso i voli della morte e confessavano i piloti che avevano bisogno di pulirsi la coscienza, mentre al piano di sotto preti operai venivano torturati e uccisi. La chiesa tradizionale non difendeva questi preti. 


Il giovane seminarista Juan Carlos Maquera lasciò la facoltà di teologia dopo 12 anni di studi. Oggi è il custode del Casino all'Esma e insegna il sacrificio di chi è morto per la democrazia. Un giorno un ragazzo di 33 anni, ritrovato e riconsegnato alla sua vera famiglia, venne qui al Casino, a chiedere di vedere il posto dove è nato. Lo portarono su alla Capucha e quando vide il posto dove sua mamma incinta venne tenuta prigioniera si mise a piangere e a baciare il suolo parlando a sua madre. Disse che era venuto carico di odio, che dopo 33 anni di bugie voleva andare a fare stragi e uccidere i militari responsabili di tutto questo. E che adesso invece, dopo questo incontro, dopo questo pianto, si sentiva libero e pieno d'amore. 
A questo serve l'Esma oggi. 
A mettere un fiore d'amore in mezzo a un antro buio e pieno di odio.
A questo serve l'amore di Juan Carlos. Un angelo dentro l'inferno.


E chiudiamo con il grandissimo Jorge Cafrune, vittima anche lui dell'odio insensato dell'Argentina di quegli anni, vittima perchè cantava la sua canzone vietata, Samba de mi esperanza.

Dialoghi hegeliani sul viaggiare


-Tutti sti obesi visi pallidi ameuropei mi stanno iniziando a dare fastidio!
-E perchè?
-Mi nasce un sentimento di astio ogni volta che incontro umani bianchi europei o, peggio, americani quando sono in giro per luoghi esotici. Inquinano l'ambiente con le loro sciocche abitudini.
-Ma anche noi siamo visi pallidi europei. Con chi te la stai prendendo?
-E' vero, però noi siamo diversi!
-Eeh sì, diversi....
-Certo, c'è modo e modo di viaggiare. Perchè secondo te uno si mette in viaggio?
-Boh... C'è chi vuole riposarsi, chi cerca l'avventura, chi la storia, chi la cultura, chi il divertimento, chi il sesso, chi lo sballo, chi lo sport, chi la fatica, chi l'impresa, chi vuole conoscere gente nuova, chi si vuole confrontare con culture diverse e immergersi nella natura....
-Infatti. Però ci sono anche differenti modi di interagire con il viaggio e differenti modi per imparare dalle persone che incontri.
-E' vero...
-E noi come ti sembra che ci poniamo?
-Per noi viaggiare è esplorare, ammirare, emozionarsi, ma soprattutto è conoscere, parlare con la gente, confrontarsi, vedere cosa ti restituiscono le persone che incontri, assaggiare quello che il posto ti offre, con il palato, con la mente, con i sentimenti.
-Esatto. E per fare questo in qualunque posto tu vada devi immergerti dove sei, assaporare con i pori della pelle quello che l'ambiente ha da offrirti. Invece molta, troppa gente che incontro durante i miei viaggi, non fa nulla di tutto questo, usa solo il posto che visita per i propri bisogni, quasi sempre solo edonistici, e poi lo butta via, come la scatola del tonno dopo averlo consumato.
-Ma non ti pare che si divertano anche loro? Non ne hanno il diritto?
-Certo, mica metto in dubbio il diritto a divertirsi.
-Sembra di sì, sembra che tu debba decidere come uno debba divertirsi e viaggiare
-No, io critico il modo di affrontare un viaggio e di conseguenza il modo di divertirsi. Non riesco a non innervosirmi quando vedo turisti che si servono esclusivamente dei pacchetti organizzati e che vanno intruppati ad ammirare quello che un luogo ha da offrire senza assaggiare la cultura locale.Tipo il villaggio turistico hai presente?
-Sì, ho capito. Ma qua non siamo in un villaggio.
-Ma l'atteggiamento è lo stesso. Mi fa schifo quel turismo intrinsecamente violento e figlio ed erede di una diversa forma – ma uguale sostanza – della colonizzazione, e di quello che significa: usare e non restituire, godere e non rispettare, pretendere e non donare. Sfruttamento.
-Non ti pare di esagerare?
-Ti faccio degli esempi. In Bolivia, ma anche in Argentina giri per i mercati cittadini e scopri di essere l'unico bianco, mangi nei localetti popolari e ci sei solo te, vai a dormire negli ostelli a buon mercato e i bianchi si contano sulle dita di una mano... poi entri nel centro città, quello riqualificato, dove stanno alcune delle molte attrazioni, ma le più scintillanti, ed ecco che è pieno di turisti, puliti, tutti con il loro bel maglione e il cappellino di alpaca, pagato più qui al mercato artesanal di Potosi che in una boutique di Buenos Aires.
-Vabè quelli son cazzi loro.
-Una sera che hai voglia di qualcosa di leggero entri in un ristorante del centro, che è piuttosto caro, mavabè, entri ed è pieno di americani ed europei, mangeranno una zuppa o una pizza anche loro? No! Mangiano hamburger (...) e milanese di pollo, solo che la pagano 10 volte di più che un km oltre, dove ci sono le cartacce in terra ed è un po' più buio, e sono tutti indigeni....
-Questo è vero, difficile incontrarli nei locali popolari
-Sono i globetrotter lonelyplanet, politically correct, ma sempre un filo distaccati, come la loro guida del cuore (l'ho utilizzata in questo viaggio per la prima ed ultima volta), pronti a scegliersi un posto avventuroso ed economico, senza però esagerare e senza mescolarsi troppo
-Ahah, i globetrotter lonely planet.... ma forse sono solo un po' timorosi, no?
-Ok, forse te e io esageriamo, andiamo a dormire con le pulci, attraversiamo allegramente quartieri veramente malfamati, mangiamo dagli ambulanti per la strada, non è che debba essere così per forza, ma noi tocchiamo le cose e guardiamo negli occhi della gente e soprattutto assaggiamo quello che si mangia.
-Si è vero, però anche noi a volte siamo stati costretti ad intrupparci su un pulmino, e abbiamo trovato nostri simili che con noi ammiravano i panorami, ma con un po' di disagio addosso per la situazione castrante che certe gite ti obbligano a vivere. Magari è per tutti così
-Quando non ci sono alternative sono d'accordo, ma non è quasi mai così. A Potosi abbiamo girato in lungo e in largo frequentando tutti i locali di tutte le classi sociali, meno le ultra ricche ovviamente, e mai, dico mai, abbiamo incrociato un turista.
-E' vero, mai....
-E sempre abbiamo mangiato bene.
-Sempre
-Al Salar è stata raggiunta l'apoteosi dell'imbecillità. Un posto così incredibilmente bello, in mezzo a montagne colorate, nel silenzio dei 4000 metri, tra geysers vulcanici e lagune colorate, in mezzo a animali e piante unici al mondo, sotto i cieli più stellati che uno abbia mai visto, l'unica cosa che riuscivano a fare tutti i turisti che ci circondavano era urlare, sghignazzare, farsi foto frivole, sottolineo farsi, e non fare all'ambiente, saltare nei getti di vapore, starnazzare contro i fenicotteri per farli muovere.... insomma utilizzare il posto in cui erano per promuovere una continua cultura dello sballo e del divertimento ridanciano e superficiale. Inutile dire che i peggiori erano sempre loro, gli americani.
-Ora stai generalizzando, che non è mai una cosa giusta da fare
-Hai ragione, mi prende la foga e giudico tutti
-Dunque il turismo è una brutta cosa?
-Il turismo è sicuramente una buona cosa, porta ricchezza e sviluppo. Poi trovo che ci siano dei limiti, per me il limite è superato, ad esempio, se non è più il posto bello che attira il turista, ma se il posto bello si trasforma per un uso e consumo su misura della domanda del turista. Entriamo nella finzione, i posti diventano finti. Ad esempio in Bolivia nessuno usa più i maglioni e i berretti di alpaca, essi si trovano solo ai mercati artesanal, che esistono solo perchè c'è un mercato turistico.
-E che male c'è? Meglio cucire maglioni che scavare in miniera.
-Si, ma è l'identità che si va perdendo, l'identità dell'indigeno, con le sue tradizioni, che viene sostituita dall'identità del turista che si compra un prodotto a 10 volte il suo reale valore, e tutto contento si veste di un identità tradizionale che non esiste più. Non esiste. E' finto.
-E va beh, che ne sai te di dove finisce la finzione e inizia la realtà. Sono solo tue trasposizioni mentali.
-E questo è un caso che va ancora bene, alla fin fine tutti contenti, nessuno si fa male. Ma quando parliamo di gita alle miniere? Non ti chiedi dove vadano a finire quei soldi che stai spendendo? Non ti viene da chiederti cosa stai facendo e perchè lo fai? Oppure quando visiti un meraviglioso paesino incastonato nelle Ande come Iruya e anziché andare a dormire in una Casa Famiglia vai a dormire nel nuovissimo superostello da 60 euro a notte che per costruirlo hanno cementificato mezza montagna, ma cosa stai facendo? Ma perchè sei venuto qui? Ma cosa vuoi te dal viaggio?
-Non bisogna mica fare 20mila km per rendersi conto di queste cose, basta andare d'estate in sardegna, anche lì usano, giudicano, cementificano, inquinano, sputano e ridono. Quante volte abbiamo visto il turista romano o milanese depauperare le risorse della meravigliosa costa sarda per i suoi divertimenti? E insultare e denigrare la cultura locale?
-Ecco, infatti, proprio quello che intendevo. Quando facevo le foto nei villaggi turistici sentivo dire che i villaggi portano lavoro e benessere in posti remoti e poveri del pianeta e puntualmente quando andavo a chiedere alla manovalanza locale lì impiegata se era un lavoro buono e ben pagato sentivo sempre la stessa risposta, è un buon lavoro perchè non ce ne sono altri, è pagato malissimo, pure per i nostri bassissimi standard, ma ce lo teniamo e meno male che c'è. Guardiamo in faccia alla realtà, inutile trincerarsi dietro a ideologie plutocratiche, le cose stanno così come tu le vivi e come le trasmetti. Sarei un ipocrita se negassi che la prima cosa che mi muove ad infilarmi in una miniera piena di asbesto e a regalare caramelline a bambini speranzosi in mezzo a montagne di merda è il mio piacere personale. Mi sento bene quando riesco a raccontare la vita di chi mi sta davanti, e se riesco a farlo bene anche esteticamente, allora perfetto. Sto raccontando a voi – e a me stesso – chi sono io, alla fin fine, perchè quelle sono le cose che mi colpiscono e che mi muovono.
E che mi aiutano a comprendere.
-Come dice Vergas Llosa il viaggio è la migliore università che ci sia

giovedì 5 maggio 2011

In giro per la Bolivia

Torniamo a Buenos Aires, ancora il tempo di guardare fuori dal finestrino, tutte le belle immagini che questo straordinario e zoppicante paese ha da offrirci


viaggiamo veloci attraverso strade sterrate e sconnesse, sempre su altipiani collinosi, ma di tanto in tanto improvvisi si spalancano dei profondi canyon che scendono per centinaia di metri, costringendo gli abili autisti a spericolate manovre lungo i tortuosi e pericolanti tornanti....
Sudo freddo, quando addirittura innesta la retromarcia, dopo essersi appropinquato fino al ciglio


Pausa ad Atocha, paese di tradizioni minerarie, fucili in una mano e dinamite nell'altra, nella migliore tradizione


zampetto lungo il fiume-cloaca dietro la stazione degli autobus, intorno a me merda, rumenta e perri in cerca di cibo, oltre che a una sinistra icona.


Torno al terminal e vado al bagno, che ridere, hanno messo il pisciatoio degli uomini sotto una grande finestra, te urini e la gente che passa contempla curiosa il tuo uccello. Esco, salgo sull'autobus, e a Paola è esploso un altra volta il naso, scherzi d'altura....


Arriviamo infine al confine, A Villazon è tutto un brulicare di mercanti, come tutte le città di confine è molto conveniente comprare la merce qui, solo noi babbi non lo sapevamo e abbiamo acquistato a Uyuni, che ci importa compriamo anche qui. Ceniamo e passiamo indenni il confine, siamo di nuovo a La Quiaca.
Osserviamo curiosi il gran daffare che si danno i boliviani mentre caricano le loro mercanzie sui pullman argentini



Lipez, un viaggio fino al precambrico


La pillola rossa deve essere stata piuttosto potente, ma non so dire se si tratti solo di una gigantesca allucinazione di 2 giorni filati, o se piuttosto Don Pedro, dal nome non casuale, ci abbia accompagnato in un fantastico viaggio nel tempo, indietro fino al precambrico, quando la crosta terrestre andava appena raffreddandosi dal magma.
Una cinquantina di km dopo Uyuni, in mezzo al nulla, subito il biglietto da visita dell'agenzia, la macchina si ferma, buio pesto, e i pochi fuoristrada che passano non ci pensano proprio a fermarsi a darti una mano, la Bolivia è proprio diversa dall'Argentina.... Don Pedro lesto smonta al buio il filtro della benzina e ne esce una melmazza nera, lo rimonta e lo stoico Toyota riparte.
La prima notte questo è lo spettacolo che offre la limpida aria del deserto andino, più o meno a 3500 metri d'altitudine


E guardate un po' qua, che ha di strano questa foto?


Ahah! incredibile vero? Nell'emisfero sud si cammina davvero con la testa in giù...
Il primo giorno di gita, prima una foresta di massi e pietre modellate dal vento


Poi si inizia a salire, fino a 4000 metri, l'ambiente si desertifica sempre più, intorno solo sassi e cespugli spinosi, ad accompagnarci signori vulcani da 6000 ovunque, li ad osservarti uggiosi


Poi spuntano le lagune, prima la Honda, o laguna gialla, puzzolente e torbida, e già i colori si presentano fantastici


Poi si sale ancora e improvvisamente spariscono i cespuglietti e siamo veramente a 4 miliardi di anni fa


tutto intorno a noi sabbia, pietre, dune rosse e bianche e grigie, di sfondo decine di coni vulcanici e davvero pare che abbiano appena smesso di sputacchiare tutta la robazza che avevano nelle viscere, tocchi per terra e pare caldo, anche se l'aria no, quella è davvero fredda quassù


Avanziamo, ormai non ci sono più tracce di vita 


anche se incredibilmente ogni tanto si vedono esemplari di vigogna trotterellare su e giù per queste lande desolate, ma come cavolo faranno a vivere da ste parti? 


Ma la vera sorpresa è la laguna Hedionda, dove ci fermiamo per una passeggiata e per il pranzo. Ma cosa c'è qua, sembra che Dalì sia passato e abbia perso la sua tavolozza di colori qua dentro, oltre ad averci lasciato un pezzo di cervello, ma come è possibile l'acqua è celeste e rossa, e intorno le montagne gradano sfumate verso il cielo azzurro e verso la terra verde scuro


Incontriamo una vigogna la cui anima non abita più il corpo, da chissà quanto tempo, con il freddo che fa, forse da anni


L'ultima tappa del primo giorno ci porta all'ultima laguna di oggi, la Laguna Colorada, e il tripudio di colori raggiunge il suo massimo splendore, fenicotteri rosa che zampettano in un lago di sangue, sullo sfondo un vulcano grigio verde dalla cui base sputacchiano bianchi geyser, ancora non ci crediamo


Scende la notte, la temperatura si fa veramente gelida, mangiamo un eccellente piatto di spaghetti alla pummarola cotti al punto giusto, complimenti alla cuoca. Paola soffre, l'ascesso non vuole uscire e continua a dare dolore, io ho ancora postumi di influenza e in più mi è uscito il peggior herpes della mia vita, e ad entrambi zampilla continuamente sangue dal naso, ormai siamo vicini al paradiso.... 
...il prezzo da pagare per entrare nella lucida follia del Lipez.
Manca l'acqua, i tubi sono gelati, immaginatevi cosa non diventano velocemente i cessi, c'è pure chi sta male per l'altezza....
La mattina partiamo alle 5, è ancora buio, abbiamo appuntamento con i nervosi geyser di Solo della Manana, e vederli soffiare armoniosi al sorgere del sole è un esperienza indimenticabile.... Indimenticabili sono anche i 15 sotto zero che ci accompagnano, siamo a poco meno di 5000 metri d'altezza e tenere la macchina fotografica in mano fa male alle dita


Per fortuna la tappa successiva sarà un ristoratore bagno alla Laguna Termal, dicono faccia 30 gradi, noi aficionados delle terme ci crediamo poco, però fanno un gran piacere lo stesso, considerando che i laghi intorno sono completamente ghiacciati


Resta solo da arrivare fino in fondo, alla Laguna verde, che stamattina non è verde perchè l'acqua è ghiacciata, ma lo spettacolo imponente del Volcan Licancabur, 6000 pure lui, incornicia la cartolina


Siamo al confine con il Cile ormai, siamo alla vera fine del mondo, che non è a Ushuaia, ma è nel deserto policromico del Lipez. 


Un autobus vicino alla dogana ci ricorda che la vita, quassù, non è facile