domenica 13 gennaio 2013

Campo Imperatore, orgoglio d'Italia!


Di passaggio verso l'Aquila, prima dell'immenso traforo del Gran Sasso, svoltiamo a destra per farci un giro su per questo magnifiche montagne. E' primavera e il sole è già molto caldo, anche se quassù, sotto il Corno Grande fa ancora piuttosto freddo.


La strada ti conduce fino alla base della sommità, uno di quei rari casi in cui sono riusciti a srotolare una striscia d'asfalto che ti consente di arrivare quasi sotto la cima, con sommo gaudio di alpinisti, anzi appenninisti, dal culo mollo.


Siamo a Campo Imperatore, quando è possibile si riesce anche a sciare, ci sono un paio di impianti di risalita. Bene, a parte questo, cosa c'è di interessante qui? Più che interessante sarebbe il caso di dire divertente: c'è un museo storico con un sacco di comparse che recitano perfettamente la loro parte di rievocazione storica. Siamo all'hotel Campo Imperatore, sì, proprio quell'hotel, quel posto dove fu imprigionato Mussolini nel 1943, e da dove fu tirato fuori da una squadra di paracadustisti tedeschi durante l'operazione Eiche.


Bene, ignari di tutto questo, o meglio, non immediatamente consapevoli, entriamo per mangiarci un panino e andare in bagno. L'ingenua inconsapevolezza lascia subito lo spazio alla memoria, i muri sono vecchi e ammuffiti, l'arredo pare essere proprio quello originale di 70 anni fa, l'atrio è tutto un tripudio di foto ricordo fasciste del ventennio, di Mussolini, della sua liberazione. E va bene, fin qui ci sta, è un fatto storico e ci sta che lo si ricordi. Ma il dubbio gusto e la retorica lasciano presto spazio alla grottesca messinscensa degli inconsapevoli “attori” che rievocano storicamente i personaggi che allora abitavano queste mura. Il cameriere vestito con la camicia nera che ti squadra malamente, il barista che porta un bel distintivo sulla sua camicia, ovviamente anch'essa nera, con su ben evidenziato il suo non ben precisato “orgoglio aquilano”, altri personaggi come usciti da un film girovagano arcigni dando alle sale un atmosfera tipica del tempo.
Ho un terribile difetto, alle volte non mi riesce proprio di lasciare che la santa ironia pervada il mio sentimento. Così anziché ridere, mi incazzo ed esco dall'albergo.
Ma alla fin fine ripensandoci, a codesti personaggi val bene in regalo una sonora risata!

L'Aquila, mon amour


Quasi un anno fa visitavamo l'Aquila, grazie al nostro caro amico Ivano che ha voluto portarci con lui. Mi ero ripromesso di condividere l'esperienza e alla fine ecco qua, con un “lieve” ritardo, il resoconto delle nostre impressioni. Piuttosto emozionanti.


Entriamo da Ovest. La periferia sembrerebbe quella di una normalissima città.
Sembrerebbe...
Davanti a noi scorrono file di palazzi transennati, i muri pieni di crepe, l'intonaco crollato a terra mostra le file di mattoni. Una scena stranissima, siamo tutti senza parole.


Parcheggiamo la macchina e ci avviamo verso il centro, la famigerata zona rossa, le transenne sono dappertutto. Ci accorgiamo subito che l'aria che si respira è particolare. C'è un piccolo mercatino, ci fermiamo a comprare una campanellina da una artigiana. Com'era prevedibile sentire sono messi male, molti sono andati via e i pochi rimasti sbarcano a malapena il lunario. La gente è schiva e silenziosa. Si capisce che sono stati feriti, dalla terra, dalla politica, dai media. Un volantino facilone offende la dignità dei cittadini, e anche la nostra.


Camminiamo. Pilastri incravattati stanno su solo con il supporto di provvidenziali fascine d'acciaio.


Guardacaso l'unico edificio rimesso a nuovo, immacolato, bianco, marmoreo è quello della Banca d'Italia. Vergogna banchieri, ancora una volta dimostrate la vostra pochezza, la vostra scarsissima lungimiranza.


Più avanti ecco i nostri fieri soldati, a proteggere i cittadini da se stessi, a impedire che si ritorni nelle proprie case a sistemare, a tenere lontana la città da chi vuole rimboccarsi le maniche da solo, senza aspettare il sacro volere dei partiti.


Ci inoltriamo nella città vecchia, perlomeno quella periferia del centro storico ancora più o meno accessibile. 


Tante immagini che avevamo visto in TV e su Internet non rendono minimamente la realtà così come si presenta. G8 Genova docet. 


Una città fantasma, distrutta, annichilita, senza possibilità di rialzarsi. Impossibile risistemarla.


Bizzarre decorazioni circondano i cornicioni dei palazzi e i contorni delle finestre


Stradoni pieni di negozi abbandonati. Scarpe ancora in vetrina, lasciate lì in mostra. Impolverate, nella stessa posizione da più di tre anni. Sembra un film post atomico. O post terremoto.


Deliziose piazzette che si celano negli anfratti del centro storico, schive come i suoi abitanti. e, inesorabilmente, vuote.


Piazze che stanno lentamente cedendo il passo alla natura che si riprende i suoi spazi.
Finestre aperte.
Per sempre.


La quotidianità che ancora si lascia respirare.


Aquilani e turisti che nonostante tutto ritornano malinconici a passeggiare su vie anticamente dedicate allo struscio. Come mosche bianche, negozi che stoici riaprono i battenti in mezzo al nulla.


Aquilani che cercano di portare un pochino di vita in questo scenario di morte


Di tanto in tanto sbirci dentro a un portone mezzo aperto... tutto è cristallizzato come prima.


La cosa più impressionante è il silenzio.
Strade un tempo affollate, deserte, mute.
Piazze.... lontane.